17 luglio 2006

Non toccatemi l'infinito

Una recente puntata di « Uomini e profeti », bel ciclo di Radio3 dedicato alla storia delle religioni e del rapporto fra religiosità e mondo odierno, mi ha fatto conoscere un personaggio molto singolare, dalla cui conoscenza sono scaturite alcune riflessioni interiori ed esteriori. Ve le bloggo appesantendo la vostra estate di lettori distratti da ombrellone, così imparate a lamentarvi che posto troppo raramente (vedete di farvelo bastare :). E voglio proprio vedere chi ha il coraggio di leggerselo tutto fino in fondo….

Il personaggio è Giovanni Semerano, scomparso un anno fa alla bella età di 92 anni. Una figura di intellettuale scomodo, vissuto a lungo nell’ombra e spuntato solo parzialmente alla luce grazie ad alcuni “amici” del calibro di Umberto Galimberti, Emanuele Severino e Massimo Cacciari, che lo hanno tolto dall’esilio in cui era stato confinato a causa delle sue posizioni eterodosse. (Ad indubbia riprova dell’isolamento, si pensi che la Rai non ha saputo trovar di meglio per illustrarlo che la fotografia della lapide tombale, che riproduco qui come atto vagamente pulp necrofilo.)



Meglio di quanto non possa fare io, lo descriveva proprio Umberto Galimberti su “La Repubblica” del 14.6.2001, in occasione della faticosa pubblicazione dell’ultimo saggio di Semerano presso Mondadori:

“L'autore di cui parlo è Giovanni Semerano che a novant'anni ha scritto: L'infinito: un equivoco millenario. Allievo di Giorgio Pasquali e del semiologo Giuseppe Forlani, di Giacomo Devoto e Bruno Migliorini, Giovanni Semerano incomincia la sua carriera a Firenze come professore di latino e greco al liceo, ma la sua vera passione è l'etimologia delle parole, la cui ricerca viene delusa troppe volte quando, consultando i dizionari etimologici che sposano la tesi dell'origine indoeuropea delle nostre lingue, si trova di fronte alle espressioni: etimologia «sconosciuta», «inconnue», «ignorée», «unbekannt», «unknown». Gli viene allora il sospetto che, assumendo come quadro di riferimento la lingua accadica parlata nel terzo millennio a.C. in Anatolia, Siria, Mesopotamia dai mercanti e dai sovrani nei loro epistolari con i faraoni egiziani, quelle etimologie «sconosciute» cedano il loro segreto e in particolar modo le etimologie delle parole inglesi e tedesche che hanno sempre messo a dura prova il quadro di riferimento indoeuropeo. Per inseguire questa sua ipotesi Giovanni Semerano abbandona la cattedra di liceo e si trasferisce come direttore prima alla Biblioteca Laurenziana di Firenze e poi alla Biblioteca Nazionale dove rimane per trent'anni a costruire il suo capolavoro Le origini della cultura europea, in quattro volumi pubblicati da Leo Olschki. […] A proposito degli etruschi, dobbiamo sapere che […] Giovanni Semerano, partendo dall'accadico, decifrò quella scrittura, ma la sua scoperta, per l'autorità di Massimo Pallottino, non ebbe alcun seguito e la scrittura etrusca rimase inutilmente avvolta nel suo enigma. Nel 1985, in occasione della celebrazione degli etruschi si tenne un convegno internazionale a Firenze dove a Giovanni Semerano fu concesso un intervento di soli tre minuti dove non era possibile dimostrare nulla. […] L'inviato in Italia del giornale inglese The Guardian si incuriosì del personaggio e, grazie ai buoni uffici di Neppi Modona, lo raggiunse a Firenze e lo intervistò uscendo poi con un titolo a tutta pagina «An italian professor finds accadian roots under the linguistic tree». La notizia sconvolse il mondo culturale anglosassone e lasciò indifferente quello italiano, ad eccezione di Indro Montanelli che qualche anno dopo si incuriosì della cosa e invitò Giovanni Semerano a scrivere alcuni articoli sull'argomento sul suo giornale. Questo piccolo riconoscimento infastidì Salvatore Settis che il 23 febbraio dell'85 [lapsus?, n.d.B.] screditò su Tuttolibri de La Stampa Giovanni Semerano colpevole a suo dire di considerarsi il Galileo che pretendeva una rivoluzione copernicana a proposito dell'origine delle lingue. Ma proprio in quegli anni Vittorio Mathieu [lapsus gigante di Galimberti, si tratta in realtà di Paolo Matthiae, n.d.B.], capo della spedizione italiana in Siria, rinveniva […] ventimila tavolette della Biblioteca di Ebla che l'assiriologo Giovanni Pettinato prese a tradurre e a divulgare la scoperta nei suoi bei libri, che confortavano l'ipotesi di Giovanni Semerano. […] Nello stesso anno [1994] si accorsero di lui e si interessarono alle sue ricerche Emanuele Severino e Massimo Cacciari di cui si diceva all'inizio. Il resto è storia recente. Nel 1999, in occasione del congresso internazionale tenutosi a Milano su «Le radici prime dell'Europa» L'Espresso fece un ampio servizio sulla relazione di Giovanni Semerano, e nell'aprile del 2000 Sergio Frau su Repubblica gli dedicò due intere pagine della cultura con un bellissimo articolo: «Così la terra incominciò a parlare».”

Fin qui Galimberti. Ma la trasmissione di Radio3 (che era la riedizione di una intervista del 2001) mi ha permesso di entrare in contatto con la voce di questo anziano giovanotto, che malgrado i suoi novant’anni prossimi sembrava poco più che un cinquantenne per spirito e presenza. Semerano aveva un modo di accarezzare i concetti, tipico dell’uomo che ha vissuto lontano dai clamori e dai livori autoreferenziali del mondo accademico. Sono sua opera definizioni, a tratti di intensa poeticità, come queste:
“Le parole potremmo definirle dei supporti spirituali che raccolgono messaggi lontani, e ci fanno partecipi di lontani universi trascorsi nel tempo, di civiltà e popoli di cui fino a qualche centinaio di anni fa non sapevamo nulla.
Le parole sono più tenaci delle pietre. Dobbiamo auscultare il loro segreto come in una conchiglia l’eco di oceani abissali. Sono voci di popoli spenti, ma che come astri spenti continuano tuttora a mandare il loro messaggio di luce.
Ad esempio, la parola mano. Dal latino manus. Nei dizionari etimologici la parola è unbekannt, sconosciuta. Ma la parola manus ha una trasparenza straordinaria, perchè manu in accadico significa “computare”. La mano quindi come o strumento per calcolare. La lingua accadica è la madre dell’assiro e del babilonese. Lingua semitica che ritiene molte cose della più antica lingua sumera. Risalendo ancora indietro, troviamo le lingue semitiche mediterranee, come il cananeo, l’aramaico, all’origine della lingua etrusca fra l’altro. Le lingue e le civiltà europee affondano le radici in questa lingua madre, in questa koinè di cui l’accadico è la parte più importante.
Parole come Europa, Italia, Atlante, non derivano dall’indoeuropeo. Il concetto di “lingua indoeuropea” è un mito formulato specialmente dai grammatici di lingua tedesca del XIX secolo, mito che ha avuto conseguenze nefaste sul piano politico e storico. Le leggi razziali sarebbero nate in questo ambiente culturale quando era addiritura proibito parlare di lingue semitiche. Si è preferito spostare l’origine dell’Europa ancora più a oriente, piuttosto che accettarne un’origine semitica-mediterranea.”

Proprio questi ultimi concetti contengono il “peccato” di Semerano. Lungi dall’essere una innocua scoperta di una disciplina oscura come la paleolinguistica, l’aver messo l’accadico e le lingue semitiche al centro del gioco, definendo l’indoeuropeo come una costruzione mitica non supportata da alcuna evidenza oggettiva, sarebbe una seconda rivoluzione copernicana, qualora venisse accettato.
Già, qualora venisse accettato. Il “mito” della civiltà indoeuropea. Semerano non ritiene plausibile l'ipotesi dell'indoeuropeo, sostiene trattarsi di una lingua congetturale ricostruita dai linguisti con procedimenti puramente tecnici, ma priva di riscontri. Non c’è neanche bisogno di dire che una tale tesi è stata rigettata in tronco dai linguisti classici. Secondo i suoi critici, egli contesta la teoria dell'indoeuropeo pensando solo ai linguisti tedeschi degli inizi dell'Ottocento, senza tener conto della successiva evoluzione degli studi che ha portato a numerose correzioni e raffinamenti delle ipotesi tardo-romantiche. L'affermazione di Semerano secondo cui l'esistenza dell'indoeuropeo sarebbe una "favola", si scontra con le scoperte archeologiche come la decifrazione delle tavolette ittite, realizzata proprio partendo dal presupposto che si trattasse di una lingua indeuropea scritta nei caratteri della scrittura cuneiforme.
Ci vanno pesanti, i linguisti scientifici contro il povero (ma inscalfibile) Semerano. Le sue metodologie appaiono loro del tutto dilettantesche. Per fare un esempio, egli fa discendere il latino res (“cosa”) dall'accadico rešu, “testa”, trascurando completamente il fatto che la -s finale del latino è la desinenza del nominativo. Forse che, se avesse preso le mosse dall'accusativo rem, sarebbe forse risalito all'accadico remu “ventre”? Allo stesso modo, in tutta la sua opera Semerano si sarebbe semplicemente servito, senza troppi scrupoli metodologici, di dizionari delle più svariate lingue, di cui spesso ignorava i meccanismi. Tutta la sua teoria si baserebbe su accostamenti di termini eterogenei, senza che venga proposto un modello alternativo a quello elaborato dalla linguistica tradizionale e senza che vengano spiegate e definite le leggi linguistiche che avrebbero presieduto alla derivazione delle varie lingue esaminate dalle antiche lingue mesopotamiche.

Non so voi, personalmente, io trovo questo problema terribilmente (e “tranquillamente”, nel senso di qualcosa che studiato e approfondito in tutta calma) interessante. Gli indoeuropei, questi famigerati “popoli del mare” che con la loro invasione del mare Egeo intorno al 2000 a.C. sarebbero all’origine della civiltà greca, sono un bel problema, tutt’altro che liceale, tutt’altro che accademico. Agli studiosi dell’Ottocento la Grecia si presentava come un dilemma, dopo la svolta scientifica dell’archeologia, passata grazie agli scavi archeologici di fine ‘700 (vogliamo ricordare almeno il nume tutelare Winckelmann, Gedanken über die Nachahmung der griechischen Werke in der Malerei und Bildhauerkunst del 1755, e Geschichte der Kunst des Altertums del1764) dallo stato di disciplina filologica e puramente antiquaria, alla condizione progressiva di vera e propria scienza osservativa e sperimentale. La Grecia delle candide statue di kouroi e di atleti (che oggi sappiamo essere invece state colorate, in origine, e in maniera pure un po’ pacchiana), l’Apollo “senza tendini né vene”, l’olimpica serenità e la superiore armonia che emanavano da tutta quell’impressionante costruzione intellettuale, artistica, ma anche filosofica, scientifica, sociale, democratica (malgrado la schiavitù), pareva essere scaturita con la subitaneità di un fulmine a rischiarare il buio, o almeno il grigiore del mondo Mediterraneo del primo millennio a.C. Certo, quella visione neoclassica che si veniva creando a Jena e ad Heidelberg, del mondo greco come il regno atemporale (e sostanzialmente a-spaziale) della suprema armonia era largamente deficitaria. Per completare il quadro del mondo greco con quella visione tragica ed esistenziale (delfica, eleusina) dell’Uomo che ancora oggi ci lascia attoniti, bisognava aspettare almeno Nietzsche e le sue drammatiche pagine di Die Geburt der Tragoedie del 1871 (seguito, pochissimi anni dopo, dagli scavi frigi e micenei di Schliemann, che confermavano la dettagliata realtà della Grecia primigenia di Omero). Malgrado l’indubbia incompletezza, cionondimeno, ad inizio ‘800 la civiltà greca si stagliava come un gigante di candido marmo pario sull’orizzonte balbettante delle superstizioni mesopotamiche. Com’era possibile che una tale complessa, articolata meraviglia fosse spuntata dal nulla?

Per cercare di trovare il bandolo di questa matassa, l'Europa del tardo XVIII crea il concetto di “matrice indoeuropea”. Secondo questo modello, la civiltà greca, nata in seguito all'invasione di popoli indoeuropei, sarebbe una civiltà originaria europea sorta in contrapposizione a un Oriente asiatico e africano visto come immobile e decadente. La versione più aggiornata della teoria la dobbiamo a Marija Gimbutas ( LINK ), autrice fra l’altro di un bellissimo libro dal titolo The Goddesses and the Gods of Old Europe. Questa versione della teoria indoeuropea, assolutamente incontestata fino alla fine degli anni ‘80, identificava gli indoeuropei con un popolo di pastori guerrieri a cavallo che dovrebbero corrispondere alla cultura del IV millennio, cioè dell'età del Rame o Calcolitico, detta dei kurgan (da una parola russa di origine turco-tatara che significa 'tumulo funerario')



Dalle steppe dell'Ucraina questi pastori guerrieri, presa successivamente la forma della cultura cosidetta delle Ascie da Combattimento, avrebbero invaso l'Europa in diverse ondate, sterminando o assoggettando le popolazioni autoctone del continente europeo, e sostituendo la propria lingua a tutte le lingue preesistenti. Uno scenario apocalittico che implica anche l'idea dell'assoluta superiorità (militare, ma anche culturale) della popolazione immigrata su quelle autoctone, dato l'alto livello delle civiltà europee preesistenti. Non a caso questo scenario, che possiamo chiamare della Grande Invasione, risale al secolo XIX, e al contesto in cui nasceva anche l'ideologia “ariana”. I libri dei padri fondatori dell'indoeuropeistica sono pieni di riferimenti alla razza ariana destinata a conquistare il mondo. Questo tipo di critiche (insieme ad una rivalutazione della base semitica o anche nord-africana della cultura greca) hanno fatto la fortuna, ad esempio, di Martin Bernal e del suo famosissimo libro Black Athena. Bernal afferma che il "modello ariano" avrebbe trionfato non per una sua maggiore plausibilità scientifica, ma per una serie di cause esterne: innanzi tutto il sorgere del romanticismo; quindi l'ascesa del razzismo europeo collegato al colonialismo e, all'interno del razzismo, l'insorgere dell'antisemitismo; infine un fraintendimento, da parte delle scienze storiche, del concetto di "oggettività".

Traggo le considerazioni seguenti da Origini delle lingue d’Europa: il problema della continuità, di M. Alinei (Bologna, Il Mulino 1996). Negli ultimi trent'anni, mentre gli esperti di linguistica indoeuropea (i “favolieri” del misconosciuto Semerano) continuavano a lavorare basandosi sul modello classico della Gimbutas, la scienza archeologica ha fatto enormi passi avanti: prima con la scoperta di metodi di datazione sempre più precisi, che hanno imposto un radicale cambiamento di tutte le datazioni della preistoria europea, rendendole molto più antiche di quelle tradizionali; poi con lo sviluppo di metodologie di analisi e di interpretazione sempre più sofisticate, che hanno portato a una graduale revisione delle concezioni tradizionali sulla preistoria europea, eliminando o riducendo al minimo il ruolo delle invasioni, e accentuando invece gli aspetti della continuità e il ruolo degli sviluppo interni, economici e sociali. E nel quadro di questa radicale revisione della preistoria europea si è cominciato a dubitare sempre di più della sostenibilità della teoria tradizionale della “grande invasione”.

Il libro che ha messo a fuoco il “problema” indoeuropeo in modo esplicito è stato Archaeology and Language: the Indoeuropean Puzzle di Colin Renfrew (1987). Renfrew sostituisce l'invasione guerriera dell'Europa del Calcolitico con un'invasione pacifica all'inizio del Neolitico, da parte dei primi coltivatori, e fa poi coincidere il processo di diffusione dell'agricoltura (l’unica vera discontinuità culturale documentata dall’archeologia moderna) con il processo di diffusione delle lingue indoeuropee.

Negli anni '90, tuttavia, è stata proposta un'altra teoria, in alternativa a quella di Renfrew. L'idea di un'invasione neolitica di grandi dimensioni, infatti, è stata subito criticata dagli archeologi, in particolare dagli specialisti nello studio della transizione dal Mesolitico al Neolitico. Questi hanno potuto facilmente dimostrare che la neolitizzazione dell'Europa non è avvenuta a seguito di una grande invasione che avrebbe investito l'intero continente, ma a causa di un complesso processo di diffusione dei prodotti e delle tecniche dell'agropastorizia, a cui si sono accompagnati modesti contributi immigratori che hanno interessato solo l'area dei Balcani, la Germania, e in misura minore l'area mediterranea centro-occidentale, e niente affatto il resto dell'Europa. Su questa base, la più recente proposta teorica delle origini afferma che gli Indoeuropei non sarebbero arrivati né dall'Ucraina come guerrieri, né come coltivatori dal Medio Oriente, ma sarebbero gli eredi naturali delle popolazioni che si trovano in Europa da sempre, cioè da quando Homo sapiens sapiens si è diffuso nei vari continenti del Vecchio Mondo, nel Paleolitico, proveniendo dall'Africa. Gli Indoeuropei sarebbero quindi sempre stati in Europa e in Asia, così come si ammette che gli Africani siano sempre stati in Africa, i Cinesi in Cina e gli Aborigeni australiani in Australia, e così via dicendo.

A me pare che quest’ultima teoria (di cui Alinei è bravissimo coautore) sia davvero affascinante. Le nostre lingue “indoeuropee” risalirebbero nientemeno che alla lingua primigenia dell’Homo sapiens. Nel nostro cervello, già guidato per i suoi istinti primari dall’amigdala, residuo dell’età delle caverne, le forme linguistiche si muoverebbero lungo percorsi che seguono i meandri scavati da un fiume antichissimo, che sgorga dagli altopiani africani ben centomila anni fa. Mai sentito niente di più suggestivo, davvero, fin dai tempi in cui Don Giulivo Torri ci insegnava il catechismo all’oratorio dei Salesiani (vabbè, lasciatemi un pochino smitizzare :)

Tutta questa ipotesi non cozza poi troppo neanche con l’evoluzione delle civiltà proto-greche nell’Egeo. L’archeologia moderna ormai conferma lo sviluppo un po’ dovunque nell’Europa dell’età del Bronzo (circa 1500 anni prima di Colui), di strutture sociali fortemente stratificate e la comparsa di potenti gruppi elitari, accompagnati dalla cultura delle sepolture a inumazione. Sarebbero questi, insomma, i prozii dei re omerici di Argo e di Micene, e di Agamennone fortissimum Mirmidonum rex. Solo che, semplicemente, non fa che spostare il problema.

Infatti, si può essere contenti di aver cominciato a capire un po’ meglio l’origine delle lingue europee e la connessione con le tradizioni culturali precedenti, ma il problema resta tutto lì, intatto. Come ha fatto - insomma! - a venir fuori qualcosa come la cultura greca classica, partendo dal substato comune a tutto il resto dell’Europa mediterranea? Perché non si sono sviluppate civiltà analoghe sulle coste dell’Iberia, o del nord Africa, o nell’alto Adriatico? Perché sull’altopiano iranico non è venuto fuori uno che scolpiva come Fidia o uno che misurava la circonferenza della Terra come Eratostene? Perché i popoli semiti sono rimasti immersi nel loro borbottare sconclusionato (sfortunatamente arrivato fino ai giorni nostri) dei loro innominabili Jaweh o Allah, dèi unici, vendicativi e terribilmente incazzati nella loro solitudine, mentre i filosofi greci partorivano concetti e ragionamenti di strabiliante modernità e inventavano la matematica e la geometria? (Oh, adesso non datemi del nazista filo-ariano, eh?...)

E verso la fine di questo (ehm… ehm…) post estivo, mi richiudo su me stesso e torno all’inizio e al buon Giovanni Semerano, che ha cercato per tutta la sua vita di combattere la “favola” dell’invasione indoeuropea contro i suoi più tenaci sostenitori, ovvero i linguisti. Torno al GS perché, se è vero che l’ipotesi indoeuropea è stata ormai messa in crisi da più di una parte, lui si trova ormai in buona compagnia (chissà che chiacchierate si faranno lui e la Marija Gimbutas seduti una accanto all’altro su una nuvola di qualche paradiso, uno a scelta fra i vari proposti dai variegati olimpi delle tante religioni che hanno studiato). Ma, come ho cercato di far notare, il “nodo” della questione greca rimane. Anche perché sospetto che ci sia un certo “furore” ideologico, nel voler mostrare a tutti i costi che i greci fossero legati in qualche modo alle proto-culture semitiche (e quindi, in qualche misura, anche bibliche). Come è dimostrato dall’ultimo libro di Semerano di cui parlava, in apertura di post, il buon Umberto Galimberti.
Il volume in questione è (vedi sopra) L'infinito: un equivoco millenario. Le antiche civiltà del Vicino Oriente e le origini del pensiero greco (Mondadori, 2001). Partendo dalla ormai nota ipotesi di una derivazione di tutte le lingue da una comune matrice accadico-sumera, il GS si spinge fino ad una revisione radicale dell'intera vicenda della Grecia arcaica e classica, non più miracolosa isola di razionalità, ma parte integrante di un'unica comunità che si estende dall’Anatolia, alla Mesopotamia, fino all’Egitto.
Tutta la costruzione di questo libro si basa su una nuova interpretazione del termine apeiron, centrale nella filosofia di Anassimandro. Di questo presocratico ci resta appena un frammento, tramandato da Simplicio nel suo Commentario alla Fisica di Aristotele, poche decine di parole che sono bastate a definire un intero, potente schema di pensiero:

principio delle cose è l'infinito... nascita e morte delle cose avvengono secondo necessità, poiché esse pagano la pena e reintegrano il torto che commettono le une alle altre secondo l'ordine del tempo...


Anassimandro definisce l'elemento da cui hanno origine tutte le cose con il termine àpeiron, che abitualmente viene ritenuto costituito da a- privativo ("senza") e da péras ("determinazione", "termine") e tradotto pertanto come "indeterminato" o "in(de)finito". Secondo Semerano invece (ve la faccio breve) il termine sarebbe da ricollegarsi al semitico 'apar, corrispondente al biblico 'afar e all'accadico eperu, tutti termini che significano "terra". Il frammento di Anassimandro non si riferirebbe più, dunque, ad una concezione filosofica dell'infinito, ma ad una concezione di "appartenenza alla terra" che si ritrova in tutta una precedente tradizione sapienzale di origine asiatica e che è presente anche nel testo biblico: polvere sei e polvere ritornerai. Ecco qua che, secondo me, spunta il furore ideologico.
Ammetto di non essere riuscito (ancora) a trovare il libro di Semerano per leggermelo con la dovuta attenzione, e che sto scrivendo le mie impressioni solo sulla base di quello che l’autore ha detto nella sua intervista. Ammetto anche che non mi dispiace del tutto l’idea di ricondurre Anassimandro (e magari anche gli altri presocratici) in una prospettiva meno metafisica e più “materialista”, accanto a Democrito e Talete. Ammetto pure che si potrebbe ovviare con un sorriso alla principale obiezione che è stata fatta a questa tesi, citando l’alternanza dei dittongo nella lingua ionica che si ritrova così spesso in Omero (ad esempio, un omerico “pòntos apèiritos” verrebbe tradotto, seguendo Semerano, con un discutibile “mare terroso” anziché “mare infinito”).

Ma quello che non ammetto è che mi si tolga l’infinito. Che mi si voglia ricacciare sulla Terra e nella terra, col capo coperto di cenere e il labbro tremante, in adorazione di un dio antico inventato dalla paura. Che mi si vogliano tagliare le ali del pensiero che la Grecia ha instillato nei meandri del cervello europeo, per riconsegnarmi all’oscurità superstiziosa delle brulle colline cananee. No, non toccatemi l’infinito. Lasciatemi vagare, noiosi apologeti della cristianità, per gli oceani sterminati della conoscenza.

E buone vacanze :)


20 Comments:

Anonymous Anonimo said...

posso leggerlo 'a puntate'?
.. così non mi lamento ché non scrivi...
ho messo anche io il bimbo che dice il tempo.

9:40 AM  
Anonymous Anonimo said...

ho scritto un commento così lungo che non si lascia pubblicare..riprovo poi casomai lo divido, a puntate :D

9:40 AM  
Anonymous Anonimo said...

Post così ricco di info e di note critiche che merita davvero una lettura a puntate e non per motivi stagionali o di tempo a disposizione ma di approfondimento.
La vicenda Semerano l'ho seguita in questi anni così come metà della trasmissione cui ti riferisci. Il "peccato" di S. l'ho "sfruttato" come si dice in gergo, a più livelli: intanto per compiacermi in segreto una volta di più del fatto che il non-riconoscimento accademico colpisce sempre i migliori (eheheh); poi per far passare agli studentii un certo criterio che riassumerei così: quanto danneggia la comprensione storica e le possibilità che ci riserva per capire il presente ogni genere (e anche il criterio di Semerano qualora si proponga come costrutto rigido sostitutivo..) di monopolio ricostruttivo della storia.

9:41 AM  
Anonymous Anonimo said...

(sono io sopra)cerco di stringere..
Insomma chi rompere la rigidità dell' "é andata totalmente così" (es. origini indoeuropee)e poi avanza la pretesa di affermare che è andata "totalmente" all'opposto (es. origine accadica) si perde per la strada la forza propulsiva che appartiene alla rottura di ogni schema fisso e la plausibilità della nuova IPOTESI ricostruttiva. Non mi pare però sia il caso di Semerano, almeno a giudicare dal titolo, "equivoco millenario", che non chiude e lascia spazio. Tu stesso infatti dici concludendo: lasciatemi l'infinito ...come dire, se colgo bene, andiamo avanti nella ricerca storica si ma per favore lasciamo l'aperto..(apeiron potrebbe tradursi anche con "aperto".. )
Nietzsche, che tu citi, fu fantastico quando disse che per aderire alla storia e farne un uso utile alla vita occorre donare alla ricostruzione storica il valore aggiunto di un po' di senso non storico..
(continua)

9:41 AM  
Anonymous Anonimo said...

Non mi dilungo( benché chi di post ferisce di commento dovrebbe perire..;))cito solo un tuo passaggio: "Che mi si voglia ricacciare sulla Terra e nella terra, col capo coperto di cenere e il labbro tremante, in adorazione di un dio antico inventato dalla paura ". Ecco, quell'immagine "terra-terra" che paventi giustamente di un Dio che incute paura ai suoi eternamente borbottanti schiavi, proviene dalla traduzione greca del libro sacro, dunque di nuovo torna il nodo dell'imperialistica matrice indoeuropea (antisemita etc.)che il nobile vecchietto ha tentato di decostruire...
Scusami per essermi dilungata ma la colpa è del tuo discorso che mi interessa molto, anzi credo se ne potrebbe bloggare ancora.
Passo e chiudo, fiò:)

9:41 AM  
Blogger bostonian said...

grazie del contributo, Fiorilla :) magari il discorso si allarga...

9:42 AM  
Anonymous Anonimo said...

post super interessante. Non conosco l'argomento, ma mi piace molto come lo hai impostato. Il "mito" dell'origine indoeuropea ha folgorato non solo ideologie razziste ma anche fior fiore di intellettuali (ci cascò, a suo tempo, anche Jung). Trovo bellissime le immagini che hai richiamato sul valore delle "parole" e sul vissuto che trasportano e trovo, anche se affascinante, inquietante il rivoluzionare davvero tutto ciò che finora abbiamo pensato dei presocratici...
a presto
Mad

9:42 AM  
Anonymous Anonimo said...

Commento emotivo: è interessante, molto, questo percorso - inversione di rotta di Semeraro.
Personalmente, comunque, ai modelli di lettura "schierati" preferisco quelli descrittivi e policentrici: soprattutto nella lettura dei fenomeni linguistici, dove prestiti, transiti, stratificazioni raccontano una storia gegraficamente discontinua. Un destino di contaminazione che potremmo usare come chiave eclettica di analisi.
saluti saluti saluti
colfavore-zena

9:43 AM  
Anonymous Anonimo said...

se per caso anche tu sei fra i poveri cristi (e criste) che non sono ancora in vacanza c'è un robo in multiversum.. ;)altrimenti buone vacanze con pizzichino di invidia buona :)

9:43 AM  
Anonymous Anonimo said...

cavolo, ho scritto Semeraro: lo vedi fin dove può la pubblicità :)))
(ri-cavolo)
colfavoredellenebbie

9:43 AM  
Anonymous Anonimo said...

Potrei raccontarti parecchie cose, più che sull'origine delle lingue europee, su quella della civiltà.

GS non si sbagliava: non v'è stata alcuna invasione di pastori-guerrieri nel neolitico, anche se in effetti voler ricondurre all'accadico - e quindi indirettamente al sumero, la lingua delle "teste nere" - l'etimologia di tanti termini è una forzatura.

Come spesso capita, la verità si intravede ma ha molte facce.

Mille caratteri son pochi per esprimere compiutamente tutto quel che ci sarebbe da dire, e non voglio fare commenti a puntate come Fiò ^_^

Circa quel che hai scritto da me, il futuro in senso cognitivo non va confuso col secondo principio della termodinamica. O per risponderti con le parole di un vecchio amico, la vita è come un pesce che nuota controcorrente nel fiume dell'entropia.

Buone vacanze, penso avremo occasione di rileggerci.

9:44 AM  
Anonymous Anonimo said...

:-)
(avevo letto tempo fa l'articolo di galimberti, ora sono contenta di ritrovarlo con tutte le tue aggiunte, grazie :-)

9:44 AM  
Blogger bostonian said...

... ho riportato tutti i commenti che erano stati gentilmente depositati nel blog di Bostonian... grazie a tutti :)

9:45 AM  
Anonymous Anonimo said...

Bush and the Republicans were not protecting us on 9-11, and we aren't a lot safer now. We may be more afraid due to george bush, but are we safer? Being fearful does not necessarily make one safer. Fear can cause people to hide and cower. What do you think? Is killing thousands of innocent civilians okay when you are doing a little government makeover?
Are we safer today than we were before?
We have lost friends and influenced no one. No wonder most of the world thinks we suck. Thanks to what george bush has done to our country during the past three years, we do!

9:54 PM  
Anonymous Anonimo said...

Felice di vederli..
hmmm i non ottiene un piccolo, e come ottenere qualcosa di simile
http://corso-formazione-legge-626.corsi-di-formazione.org corso formazione legge 626

Sono rifinito..

7:05 PM  
Anonymous Anonimo said...

[color=#9ad]Nizza, tipi piacevoli del lavoro, ma dove posso vedere le cartoline elettroniche,
ho trovato soltanto la falsificazione come quello[/color]
[URL=http://auguri-compleanno.cartolina-natale.com]auguri compleanno[/URL]

[color=#9ad]Ciaooo...[/color]

5:59 AM  
Anonymous Anonimo said...

Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

11:11 AM  
Anonymous Anonimo said...

Se ci si vuole ancora addormentare con le favolette indoeuropee, per consolarsi di quella che si vuole oggi a tutti i costi debba ancora essere una sorta di aura mistica necessaria a giustificare anche, in ultima analisi, i bombardamenti dell'ultima ora, a perpetrare lo sfruttamento petrolifero di quella che un tempo fu la mezza luna fertile, origine e culla della cultura europea, si faccia pure.
Ognuno è così radicato ai miti e alle favole che gli sono stati raccontati quando era piccolo, che è difficile abbandonarli del tutto, pur nutrendo abbondanti dubbi.
Però le critiche almeno leggiamole bene, e soprattutto leggiamo tutti i libri di Semerano che tra l'altro non definisce il mare omerico terroso, ma limaccioso o sabbioso, e così tutto torna, dato che i micenei proprio sui litorali sabbiosi appprodavano, nelle loro odissee peregrinanti.
Semerano scrive: "un vincolo di vasta fratellanza culturale lega da cinquemila anni l'Europa, cioè l'occidente alla Mesopotamia, l'attuale Iraq, dove fiorirono le inarrivabili civiltà, le culture di Sumer, di Akkad, di Babilonia; è ancora vivo il fascino di quella culla delle arti, delle scienze, del diritto"
E basterebbe leggere un romanzo come Creazione scritto vari anni fa da Gore Vidal, per capire che non tutti restano prigionieri per sempre delle favole che vengono loro raccontate da piccoli, negli altrettanto piccoli licei, specialmente italiani, dove non si fa altro che ripetere, fino alla nausea l'autoreferenzialità del buon (ma non del tutto buon) tempo passato.
I libri di Semerano hanno solo un difetto: si trovano poco e costano troppo, probabilmente anche perché sono in molti a temere quella evidenza che ci porterebbe a tale rivoluzione copernicana, capace di sconvolgere non solo i fin troppo facili assiomi del passato, ma persino gli equilibri geopolitici esistenti e fondati su terrori perfettamente speculari. Quelli che evocano anche i fantasmi di una sorta di oscurantismo che si contrappone alla chiarità olimpica solo nei fumetti un po' noir come 300, divertenti per altro specie quando diventano film, ma sicuramente poco istruttivi.
E così dimentichiamo che il neoplatonismo, i testi aristotelici, persino nelle oscure epoche medievali, passarono per quell'area dove il califfato di Bagdad era allora un faro in un deserto culturale che raggiungeva le sponde atllantiche, per una cultura che grazie alla sua luce, tornò a fecondare i lidi delle rinate poleis rinascimentali.
A noi manca come diceva Nietzsche la volontà di "diventare quel che siamo" e dunque di scoprire la verità, nel suo autentico senso recondito: aletheia, non nascondimento. E così pigramente ci addormentiamo ancora con le favole televisive sulle guerre giuste ed infinite e con quelle filologiche, sulle radici indoeuropee.
Eppure gli antichi già parlavano chiaro: Clemente Alessandrino bene compendiò la tradizione che scopre i pensatori greci a scuola dei "barbari": Pitagora, Eudosso, Platone. Ed il tono graffiante di Eraclito ancora ci grida: "Democrito ha fatto proprie le teorie babilonesi"(68 B 299 D-K).
Cosa rende così diversa la grecità dalle sue origini mesopotamiche se non la sua spiccata e non di rado arrogante prosopopea individualistica?
Buonantte Europa, una notte senza sogni, perché le mille e una notte, per te che resti "fortezza", sono ben lungi da venire.

7:52 PM  
Anonymous Anonimo said...

Ho scritto qualcosa di avventurosamente simile a:
http://olo-love-pizia.blogspot.com

Andrea

12:07 AM  
Anonymous Anonimo said...

Buonasera,
mi sono imbattuta casualmente nel Suo sito e Le segnalo che la foto che ha pubblicato non è di Giovanni Semerano filologo, ma del suo omonimo e cugino di primo grado, chimico e fisico.
Cordialità,
la nipote del chimico

3:16 PM  

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