01 novembre 2006

Ritorno ad Aristotele /1. Lo statuto dei confini

Un po' a sorpresa anche per me stesso, ho ripreso a scrivere più di frequente in queste pagine. Sorpresa, perché da un po' mi dedico più alla fotografia che non alla scrittura, come sfogo delle mie malriposte ambizioni creative (per chi volesse dare uno sguardo, questo link dà accesso alle mie pagine su www.flickr.com).

Un po' a sorpresa anche per me stesso, riparto dal mio ultimo scritto di qualche giorno fa che parlava, in senso esteso, della paura della scienza, per cominciare una riflessione che ho in testa da molto tempo. E che forse è arrivato il momento di cominciare a tirar fuori e a mettere nero su bianco. Il momento è arrivato anche perché sono in giro discussioni stimolanti, il cui ruolo primario finisce per essere non tanto e non solo il confronto di idee, ma piuttosto la spinta a riflettere, rivedere e ricercare le idee stesse.

So già che sarà un lavoro lungo, perché cercherò di riassumere e dare una forma compiuta a quello che bolle da tempo nella scatola vuota che ho al posto della testa, e non è detto che il progetto mi riesca e che, qualora riesca almeno in parte, abbia come risultato qualcosa di coerente e completo. Per questo, e anche per ovviare alla consueta densità plutonica del mio modo di scrivere, sull'esempio delle stimolanti discussioni di cui sopra proverò a elaborare un discorso a puntate. E, me ne dispiace ancor prima di iniziare, ma so già che non saprò essere avvincente mitopoieta come l'autrice dell'esempio che mi precede e mi ispira. Il mio sarà discorso molto di logos e poco di mythos. Non credo che poeti e cantori si fermeranno a lasciare il loro contributo :)) , anche perché ho come musica di sottofondo l'Arte della Fuga di Bach e dubito che il buon Giovan Sebastiano potrebbe tornare dall'aldilà solo per commentare il mio blog. Quindi spero di poter essere, se non avvincente, almeno convincente.

Il bersaglio è la paura della scienza, che nasconde e simboleggia tutte le paure degli uomini antichi e moderni (per questi ultimi con numerose aggravanti e testi a carico). La scusa è il vecchio Aristotele, per usare come metafora del discorso e, allo stesso tempo, come prassi operativa la polemica contro il platonismo. Vedendo in quest'ultimo una corrente, sotterranea o superficiale a seconda dei momenti storici e culturali, che periodicamente viene a suggerire soluzioni ultraterrene, iperuranee ed extracorporee, leggasi incorporee, per le angustie secolari e le ubbie quotidiane dell'essere umani.

Mi sento spinto a questo percorso per diversi motivi, professionali, culturali, individuali e perfino sentimentali, essendo come sempre questi ultimi, se non i più importanti, almeno quelli più cogenti. Ma la paura della scienza nel senso di attività conoscitiva (che è tale presso quella frazione di popolo suo malgrado poco o mal educato) è talmente biblicamente radicata, da forzare anche le menti di filosofi affermati verso operazioni negazioniste e di controinformazione confrontabili da una parte al revisionismo storico, e dall'altra alla propaganda politica. Sono sicuro che in molti, a questo punto, si sia venuta evocando come esempio la contrapposizione tutta artificiosa fra darwinismo e creazionismo. Ma io penso a casi ancora più lampanti, anche se meno noti, come la polemica avviata da Koyré e sostenuta da Feyerabend, contro gli esperimenti di Galileo. In brevissima sintesi, la scelta antiempirista di questi filosofi della scienza è arrivata fino alla forzatura di voler presentare un Galileo fortemente influenzato dall'idealismo platonico (nelle parole di Koyré, un platonismo «profondo e consapevole, che non avevano riconosciuto coloro che in precedenza avevano parlato di un Galileo platonico»). Perché la vulgata vuole che le nuova scienza fosse inconciliabile con l'aristotelismo, e dunque Galileo avrebbe contrapposto al mondo delle sostanze e degli accidenti di Aristotele l'universo matematico di Platone. Questa trasformazione di Galileo da empirista in idealista è arrivata fino a negare che Galileo abbia mai davvero compiuto gli esperimenti raccontati nelle sue opere. P. K. Feyerabend ha finito per presentare Galileo come uno scienziato privo di scrupoli, che non esitò a impiegare in senso filocopernicano dei dati osservativi discutibili, occultando con abili manovre gli aspetti deboli della teoria.

Per puro dovere di cronaca gioverà ricordare che, dopo queste critiche motivate da un evidente progetto "politico", scienziati un po' in tutto il mondo hanno provato a riprodurre gli esperimenti e addirittura a ricostruire gli strumenti galileiani, dimostrando la perfetta plausibilità storiografica degli esperimenti e dei risultati. Quello che rimarrebbe in discussione sarebbe quindi l'atteggiamento intellettuale di Galileo, ovvero se nella sua opera l'esperienza abbia davvero avuto il ruolo prioritario, o se piuttosto non vi prevalga l'aspetto matematico rispetto a quello empirico, essendo l'esperimento svolto come verifica di ipotesi elaborate con argomentazioni teoriche. E' questa una polemica di lungo periodo e di non poco momento nel dibattito epistemologico, ma non fondamentale per quello di cui vorrei parlare. Perché nelle parole scritte - che qualcosa conteranno infine - Galileo non ha mai smesso di sottolineare come proprio Aristotele, se fosse stato in vita, sarebbe venuto in suo aiuto per difendere le nuove scoperte dell'astronomia del Seicento (vedasi l'edizione del "Cielo" di Aristotele curata da Alberto Jori).



La polemica fra priorità della teoria o del'esperienza va al cuore stesso della scienza, e ancora più a fondo va al cuore, o alla mente, del rapporto fra uomo e cosmo. Per questo nel mio discorso comincio proprio dai limiti della percezione umana, e per questo mi serve anzitutto di stabilire lo statuto dei confini.

Anzitutto, il mio punto di vista è antropocentrico, e non potrebbe essere diversamente. Non nel senso classico e tendenzialmente negativo che si è venuti a dare a questo termine, ma in un senso che, al contrario, convoglia tutta la limitatezza della natura animale dell'essere umano. Mi spiego.
Noi abbiamo esperienza del mondo solo ed esclusivamente attraverso la frontiera esterna del nostro corpo, il nostro confine. La frontiera del nostro corpo è costantemente in interazione con l'universo, il cui insieme nella sua porzione a noi accessibile per comodità definisco realtà (scavalcando, per il momento, qualsiasi discussione sulla realtà della realtà). Noi homo sapiens percepiamo variazioni di temperatura e pressione attraverso la pelle, radiazione luminosa attraverso la cornea, riconosciamo molecole di vario tipo attraverso le mucose nasali e labiali, trasformiamo pressioni dell'aria in suoni attraverso la membrana timpanica, i nostri cicli vitali sono basati sull'alternarsi del giorno e della notte terrestri, ritmo da cui derivano i soli intervalli temporali che siamo in grado di capire e maneggiare. Questo insieme di intervalli di sensibilità (in cui un competente di neuroanatomia riconoscerebbe facilmente il range dinamico dei neuroni di ciascun nucleo del sistema nervoso centrale) è il nostro dominio di interazione con la realtà, al di là di questo non possiamo andare. Anche i più grandi e raffinati strumenti di misura e di osservazione dell'era moderna, capaci di scandagliare distanze interstellari, o distanze subatomiche, e di addentrarsi su tempi decine di ordini di grandezza più brevi o più lunghi della nostra giornata, necessitano alla fine di una traduzione che li renda manipolabili e leggibili da mani, occhi e orecchie umane.

Quindi, la nostra percezione della realtà è antropocentrica. Qual'è il allora senso di una domanda tipo "che cos'è la realtà?" Abbiamo, cioè, alcuna possibilità di farci un'idea su quello che eventualmente esiste all'esterno della frontiera del nostro corpo? La risposta passa attraverso lo sviluppo della cultura, cioè attraverso il logos, cioè attraverso Aristotele di Stagira.

8 Comments:

Blogger bostonian said...

Da colei che si chiama come un anestetico... mi ci vorrebbe un regolatore delle dopamine, forse ;)

6:25 PM  
Anonymous Anonimo said...

è così apprezzabile che un esorcismo sensato della paura della scienza - con le distorsioni culturali che ha provocato, vistosamente da Galileo in avanti -si compia in una "bottega di filosofia" ..(se non siamo colleghi lo è ancora di più ;)buona giornata :)

9:00 AM  
Anonymous Anonimo said...

sono io sopra, mi scuso
fiò

9:01 AM  
Blogger bostonian said...

che poi se fossimo davvero colleghi-colleghi, mica mi permetterei di blaterare su Aristotele con tutta 'sta leggerezza ;)

10:58 AM  
Anonymous Anonimo said...

Siamo noi il nostro centro del mondo, può esserci una visione diversa da quella antropocentrica? Non credo, a meno di non cadere nel misticismo.
Io non ho paura della scienza, mi spaventa a volte quello che non riesco a spiegare sistematicamente.

momiquellachenonsei

12:13 PM  
Blogger bostonian said...

e torna anche la Momi :) questa Bottega parte sotto i più begli auspici!

12:39 PM  
Anonymous Anonimo said...

Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

11:06 AM  
Anonymous Anonimo said...

Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

4:03 AM  

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