Ritorno ad Aristotele /4. Il romanticismo della matematica
Aggiungo un altro pezzo di carne al fuoco del mio caminetto aristotelico. Lo faccio un po' a tempo perso, nel giorno del Natale cattolico, mentre intorno a me c'è chi guarda distrattamente i programmi più o meno natalizi in tv dopo qualche bagordo di troppo intorno alla tavola… a tempo perso, perché non è esattamente quello che ci si aspetta di fare durante il giorno di Natale, scrivere un pezzo di filosofia, e perché manco da troppo tempo dalla Bottega, e non vorrei che i non molti frequentatori finissero per disamorarsi di queste dimesse paginette.
Quindi appongo un contributo, certo incompleto, ma che serve al solo scopo di continuare a tessere il filo, di una trama che un po' alla volta spero diventi un bel vestito nuovo.
Parlavo giorni fa con un caro amico, intellettuale cattolico di vasta cultura, al quale chiedevo, cercando un po' di provocarlo alla discussione: "Ma perché nel dibattito fra mythos e logos, la chiesa cattolica ha optato per il secondo? Non c'è niente di logico nel cattolicesimo, a partire dai miti fondatori (quando ho usato la parola "miti" lui ha fatto una faccia storta :), avrebbero dovuto optare piuttosto per il mito, no? Invece nel cristianesimo il logos compare all'inizio del Vangelo di Giovanni, dov'è identificato con Gesù. Il logos è il tramite con cui dio ha creato il mondo e, incarnato in Gesù Cristo, ne è diventato anche il salvatore."
Si continuava a discutere degli spunti del Vangelo di Giovanni, che trovano in seguito una loro conclusione nella definizione dei due dogmi, quello della trinità e dell'incarnazione di dio, formulati nel Concilio di Nicea. "Il termine logos in ambito cristiano – diceva lui – è tradizionalmente reso in italiano come verbo, riprendendo con un calco il latino verbum. Più correttamente, però, dovrebbe essere reso con parola."
"E' singolare – dicevo io – "che proprio i cristiani abbiano spinto il mythos al margine della riflessione filosofica, in quanto estraneo alle tradizioni della Bibbia, e che proprio loro facciano la confusione fra logos e parola."
"Ma no, invece – risponde lui – è perfettamente nelle intenzioni della Chiesa, evitare le fughe verso interpretazioni eccessivamente mistiche, e cercare invece di restare con i piedi sulla terra. Nonostante le diverse accezioni possibili, il logos fa riferimento soprattutto all'intelligibilità del cosmo, alla possibilità di conoscere ed esporre i princìpi razionali che lo reggono. L'universo per il cristiano deve anzitutto essere intellegibile, luogo di dialogo fra Dio e l'uomo. La persona umana, creata da Dio a sua immagine e somiglianza, è il solo essere abilitato a riconoscere questi significati e a decifrarne l'informazione. Bisogna evitare di cadere nei relativismi e nel misticismo alla Ficino, forsitan in praesentia somniamus, ricordi?" (perché si capisca il "ricordi?" a questo punto devo specificare che il parlante, attuale preside del liceo unificato classico-scientifico-linguistico di T*****, è un mio ex professore di lettere, divenuto poi uno dei miei più cari amici).
E continua: "L'universo diviene pertanto un luogo privilegiato del dialogo fra Dio e l'uomo; a questo dialogo voi scienziati partecipate a pieno titolo, non di rado inconsapevolmente, tutte le volte che riconoscete nella natura un'intelligibilità oggettiva, un logos ut ratio, ma anche un'alterità, un logos ut verbum, che vi attrae verso la ricerca della verità. Dal nostro punto di vista, è il "punto Omega" di Teilhard de Chardin, la massima espressione, la finalità dell'evoluzione."
Finita la nostra chiacchierata davanti a un (più d'uno, in realtà) bicchierino di cognac, ho ripensato a questi bei discorsi, e al bel divertimento di poterli fare e goderne. E al contenuto dei medesimi, ovviamente, e al loro possibile collegamento con il mio interesse di vecchia data con le scienze cognitive, e al mio interesse rinnovato e recente per la filosofia aristotelica, nella particolare accezione di "statuto dei confini" che sto provando a disegnare.
Ho letto da qualche parte (lo ritrovo fra i miei appunti, purtroppo ho perso il link dal quale proveniva) rilievi simili ai miei, circa la credenza cristiana in un Logos creatore, nel senso di aver favorito lo sviluppo di una mentalità scientifica nella quale trova posto una fede nella razionalità del mondo. Sostenendo così la necessità di cercare le radici di un ordine stabile ed universale, convinzione apparentemente condivisa anche da alcuni scienziati. In realtà, mi dicevo, potrebbe trattarsi di un'associazione soltanto funzionale, nel senso che un certo ordine di idee, indipendentemente dal loro fondamento oggettivo, abbia potuto incidentalmente ("storicamente") favorire l'impiego di una gnoseologia maggiormente adeguata all'analisi delle scienze. Ma il porre il Verbum a fondamento del reale, serve a rendere il dialogo fra l'uomo e la natura niente più che una metafora del dialogo fra l'uomo e Dio.
Sempre nei miei appunti, trovo un altro stralcio che recita: "Un possibile riflesso sul dibattito scientifico potrebbe essere ad esempio l'interrogativo circa la "irragionevole efficacia della matematica" (E. Wigner, The Unreasonable Effectiveness of Mathematics in the Natural Sciences, “Comunications in Pure and Applied Mathematics” 13 (1960), pp. 1-14; J. D. Barrow, Perché il mondo è matematico? Roma-Bari 1992). Sarebbe sempre possibile ipotizzare un universo che non avesse la proprietà di essere così facilmente matematizzabile come il nostro, dove le principali leggi fisiche non posseggano integrali convergenti, non siano rappresentabili con leggi scientifiche semplici, dove la geometria dello spazio, ad esempio, non consenta ai potenziali radiali di decrescere con l'inverso della distanza o alla legge di gravità di essere regolata dall'inverso del suo quadrato. Sebbene la mente umana eserciti una evidente proiezione dei suoi canoni all'interno del mondo fisico, cercando di matematizzarlo, questo deve essere al contempo matematizzabile (corsivo Bostoniano). Esistono ragioni per rifiutare l'idea che sia unicamente lo scienziato ad imporre un simile ordine nella natura. Il linguaggio della razionalità scientifica, della logica come della matematica, non è un idioma totalmente convenzionale, uno fra i tanti possibili. «Le cose stanno in modo esattamente opposto — osserva Polkinghorne — I fisici padroneggiano faticosamente le tecniche matematiche perché l'esperienza ha insegnato loro che esse costituiscono la via migliore, anzi l'unica, per capire il mondo fisico. Scegliamo quel linguaggio perché è l'unico col quale il cosmo ci parla» (Scienza e Fede, 1987, p. 72). Dietro l'idea di un cosmo «capace di parlare» non è difficile intravedere quella di un suo legame costitutivo con una Parola originaria. […] Non desta allora più sorpresa la “comprensibilità” dell'universo — cosa che suscitava la meraviglia di Einstein — e neppure il fatto che le stesse particelle elementari siano tutte rigorosamente identiche. Su quest'ultima meraviglia ferma l’attenzione John Barrow, segnalando che se tutti gli elettroni non fossero assolutamente uguali, e si comportassero ad esempio come dei palloni da football, ciascuno leggermente diverso dall'altro, l'intero universo diventerebbe inintelligibile (cfr. Theories of Everything. The quest for Ultimate Explanation, Oxford 1991, p. 197; da fisico, devo dire che quest'ultima osservazione di Barrow sull'uguaglianza delle particelle è decisamente inintelligibile, nota di Bostonian).
Ecco qua il punto dove il mythos, sbattuto fuori dalla porta, rientra dalla finestra. Con l'idea che la natura, anzi la Natura, porti in sé l'impronta di Dio, manifesta nella Comprensibile Armonia dell'Universo. L'Universo parla in linguaggio matematico, il linguaggio di Dio. Il linguaggio della matematica trascende il corpo e la mente umana, in questa visione che credo di poter definire senza problemi "platonica". In estrema sintesi:
- la matematica è una caratteristica oggettiva e reale dell'universo, le verità matematiche sono universali, assolute e sicure, le verità matematiche sono oggetto di scoperte;
- le credenze degli esseri umani circa la matematica non hanno alcuna influenza sulla matematica stessa, la matematica sarebbe la stessa anche se non esistessero esseri umani, e in altri universi possibilmente diversi da questo;
- i matematici sono gli scienziati di livello più elevato, in una ipotetica gerarchia delle scienze, poiché le verità che scoprono sono valide in qualunque universo possibile e non solo in quello accessibile alla nostra esperienza;
- poiché la logica può essere formalizzata in termini della matematica, la matematica stessa costituisce la vera natura della razionalità, inoltre, poiché la razionalità definisce ciò che è unicamente umano, i matematici sono l'espressione più alta della razionalità;
- la matematica della natura, e in particolare della fisica, risiede nei fenomeni naturali medesimi, come il fatto che i pianeti seguano orbite ellittiche, che i frattali siano annidati nelle forme delle foglie, che i gusci delle chiocciole seguano spirali logaritmiche, il che implica che il libro della Natura è scritto in linguaggio matematico, e che solo chi capisce la matematica possa capire la Natura;
(da G. Lakoff e R. E. Nunez, Where Mathematics Comes FromBasic Books, Perseus, New York, 2000)
Questo è quello che Lakoff e Nunez hanno chiamato "il romanticismo della matematica", che sarebbe più opportuno definire forse "la mitologia della matematica". Come affermano Lakoff e Nunez, due scienziati cognitivi, linguista il primo e psicologo il secondo, nello studio delle scienze cognitive si trova spesso che le evidenze contraddicano le mitologie individuali. Le nostre credenze coscienti su soggetti come tempo, causalità, moralità, politica, sono molto spesso inconsistenti rispetto ai sistemi concettuali inconsci di ciascuno. E non è inusuale per le persone l'adirarsi quando gli viene mostrato come il loro inconscio contraddica le loro credenze più care e radicate, specialmente in aree sensibili come etica, religione, o politica. Qualcosa di analogo si trova anche nella matematica: parlando con dei matematici di professione, è estremamente difficile far passare il concetto di "mitologia della matematica". L'idea diffusa è che di un argomento complesso e specialistico come la matematica possano parlare a ragion veduta solo i professionisti, e che epistemologi, filosofi, psicologi comportamentali, scienziati cognitivi, ma perfino dei quasi-colleghi come i fisici, non possano che avere visioni parziali, schematiche e non professionali. Il "romanticismo della matematica" è parte profonda della loro visione della vita, della loro identità più profonda. E dubito, infatti, che un matematico che leggerà le parole che sto per scrivere, le condividerà.
Infatti, affermo e sostengo (in compagnia di qualcun altro) la radicale estraneità della matematica rispetto alle scienze naturali. La matematica è diversa da tutte le scienze, è totalmente "interna" allo spazio mentale umano, mentre le altre scienze sono "esterne". Le scienze sono costituite dall'analisi di eventi naturali, percepiti dalla mente umana attraverso i sensi di cui dispone, entro gli intervalli di variabilità dei sensori biologici predisposti allo scopo. La matematica è il sistema mentale ("linguaggio") tramite il quale il cervello organizza e analizza le percezioni sensoriali degli eventi naturali. La matematica è il linguaggio più naturale per la formalizzazione del rapporto fra "interno" del corpo ed "esterno" della natura. Per altri rapporti, il cervello preferisce usare altre forme di linguaggio, come quello verbale, musicale, eccetera.
In questo senso, la matematica è un puro prodotto degli esseri umani. Impiega le limitate risorse del cervello umano, e da questi limiti essa è formata, oltre che dai limiti fisici dei nostri corpi. Le parti del sistema cognitivo umano che generano la matematica più avanzata sono le normali capacità adulte, comuni a qualunque essere umano. Come hanno dimostrato da tempo le scienze cognitive, una ristrettissima parte di queste capacità sono innate, hard-wired nel cervello umano, tipicamente la capacità di contare fino a quattro o a cinque. Lo sviluppo ulteriore delle matematiche superiori è costituito grazie ai meccanismi di metafore concettuali e di inferenza logica incorporati nei meccanismi cognitivi del cervello.
A queste idee da (darà?) supporto, a sua totale insaputa e senza alcuna colpa o responsabilità diretta, il fantasma augusto di Aristotele lo Stagirita, con il mio/suo statuto dei confini… spero ☺
Quindi appongo un contributo, certo incompleto, ma che serve al solo scopo di continuare a tessere il filo, di una trama che un po' alla volta spero diventi un bel vestito nuovo.
Parlavo giorni fa con un caro amico, intellettuale cattolico di vasta cultura, al quale chiedevo, cercando un po' di provocarlo alla discussione: "Ma perché nel dibattito fra mythos e logos, la chiesa cattolica ha optato per il secondo? Non c'è niente di logico nel cattolicesimo, a partire dai miti fondatori (quando ho usato la parola "miti" lui ha fatto una faccia storta :), avrebbero dovuto optare piuttosto per il mito, no? Invece nel cristianesimo il logos compare all'inizio del Vangelo di Giovanni, dov'è identificato con Gesù. Il logos è il tramite con cui dio ha creato il mondo e, incarnato in Gesù Cristo, ne è diventato anche il salvatore."
Si continuava a discutere degli spunti del Vangelo di Giovanni, che trovano in seguito una loro conclusione nella definizione dei due dogmi, quello della trinità e dell'incarnazione di dio, formulati nel Concilio di Nicea. "Il termine logos in ambito cristiano – diceva lui – è tradizionalmente reso in italiano come verbo, riprendendo con un calco il latino verbum. Più correttamente, però, dovrebbe essere reso con parola."
"E' singolare – dicevo io – "che proprio i cristiani abbiano spinto il mythos al margine della riflessione filosofica, in quanto estraneo alle tradizioni della Bibbia, e che proprio loro facciano la confusione fra logos e parola."
"Ma no, invece – risponde lui – è perfettamente nelle intenzioni della Chiesa, evitare le fughe verso interpretazioni eccessivamente mistiche, e cercare invece di restare con i piedi sulla terra. Nonostante le diverse accezioni possibili, il logos fa riferimento soprattutto all'intelligibilità del cosmo, alla possibilità di conoscere ed esporre i princìpi razionali che lo reggono. L'universo per il cristiano deve anzitutto essere intellegibile, luogo di dialogo fra Dio e l'uomo. La persona umana, creata da Dio a sua immagine e somiglianza, è il solo essere abilitato a riconoscere questi significati e a decifrarne l'informazione. Bisogna evitare di cadere nei relativismi e nel misticismo alla Ficino, forsitan in praesentia somniamus, ricordi?" (perché si capisca il "ricordi?" a questo punto devo specificare che il parlante, attuale preside del liceo unificato classico-scientifico-linguistico di T*****, è un mio ex professore di lettere, divenuto poi uno dei miei più cari amici).
E continua: "L'universo diviene pertanto un luogo privilegiato del dialogo fra Dio e l'uomo; a questo dialogo voi scienziati partecipate a pieno titolo, non di rado inconsapevolmente, tutte le volte che riconoscete nella natura un'intelligibilità oggettiva, un logos ut ratio, ma anche un'alterità, un logos ut verbum, che vi attrae verso la ricerca della verità. Dal nostro punto di vista, è il "punto Omega" di Teilhard de Chardin, la massima espressione, la finalità dell'evoluzione."
Finita la nostra chiacchierata davanti a un (più d'uno, in realtà) bicchierino di cognac, ho ripensato a questi bei discorsi, e al bel divertimento di poterli fare e goderne. E al contenuto dei medesimi, ovviamente, e al loro possibile collegamento con il mio interesse di vecchia data con le scienze cognitive, e al mio interesse rinnovato e recente per la filosofia aristotelica, nella particolare accezione di "statuto dei confini" che sto provando a disegnare.
Ho letto da qualche parte (lo ritrovo fra i miei appunti, purtroppo ho perso il link dal quale proveniva) rilievi simili ai miei, circa la credenza cristiana in un Logos creatore, nel senso di aver favorito lo sviluppo di una mentalità scientifica nella quale trova posto una fede nella razionalità del mondo. Sostenendo così la necessità di cercare le radici di un ordine stabile ed universale, convinzione apparentemente condivisa anche da alcuni scienziati. In realtà, mi dicevo, potrebbe trattarsi di un'associazione soltanto funzionale, nel senso che un certo ordine di idee, indipendentemente dal loro fondamento oggettivo, abbia potuto incidentalmente ("storicamente") favorire l'impiego di una gnoseologia maggiormente adeguata all'analisi delle scienze. Ma il porre il Verbum a fondamento del reale, serve a rendere il dialogo fra l'uomo e la natura niente più che una metafora del dialogo fra l'uomo e Dio.
Sempre nei miei appunti, trovo un altro stralcio che recita: "Un possibile riflesso sul dibattito scientifico potrebbe essere ad esempio l'interrogativo circa la "irragionevole efficacia della matematica" (E. Wigner, The Unreasonable Effectiveness of Mathematics in the Natural Sciences, “Comunications in Pure and Applied Mathematics” 13 (1960), pp. 1-14; J. D. Barrow, Perché il mondo è matematico? Roma-Bari 1992). Sarebbe sempre possibile ipotizzare un universo che non avesse la proprietà di essere così facilmente matematizzabile come il nostro, dove le principali leggi fisiche non posseggano integrali convergenti, non siano rappresentabili con leggi scientifiche semplici, dove la geometria dello spazio, ad esempio, non consenta ai potenziali radiali di decrescere con l'inverso della distanza o alla legge di gravità di essere regolata dall'inverso del suo quadrato. Sebbene la mente umana eserciti una evidente proiezione dei suoi canoni all'interno del mondo fisico, cercando di matematizzarlo, questo deve essere al contempo matematizzabile (corsivo Bostoniano). Esistono ragioni per rifiutare l'idea che sia unicamente lo scienziato ad imporre un simile ordine nella natura. Il linguaggio della razionalità scientifica, della logica come della matematica, non è un idioma totalmente convenzionale, uno fra i tanti possibili. «Le cose stanno in modo esattamente opposto — osserva Polkinghorne — I fisici padroneggiano faticosamente le tecniche matematiche perché l'esperienza ha insegnato loro che esse costituiscono la via migliore, anzi l'unica, per capire il mondo fisico. Scegliamo quel linguaggio perché è l'unico col quale il cosmo ci parla» (Scienza e Fede, 1987, p. 72). Dietro l'idea di un cosmo «capace di parlare» non è difficile intravedere quella di un suo legame costitutivo con una Parola originaria. […] Non desta allora più sorpresa la “comprensibilità” dell'universo — cosa che suscitava la meraviglia di Einstein — e neppure il fatto che le stesse particelle elementari siano tutte rigorosamente identiche. Su quest'ultima meraviglia ferma l’attenzione John Barrow, segnalando che se tutti gli elettroni non fossero assolutamente uguali, e si comportassero ad esempio come dei palloni da football, ciascuno leggermente diverso dall'altro, l'intero universo diventerebbe inintelligibile (cfr. Theories of Everything. The quest for Ultimate Explanation, Oxford 1991, p. 197; da fisico, devo dire che quest'ultima osservazione di Barrow sull'uguaglianza delle particelle è decisamente inintelligibile, nota di Bostonian).
Ecco qua il punto dove il mythos, sbattuto fuori dalla porta, rientra dalla finestra. Con l'idea che la natura, anzi la Natura, porti in sé l'impronta di Dio, manifesta nella Comprensibile Armonia dell'Universo. L'Universo parla in linguaggio matematico, il linguaggio di Dio. Il linguaggio della matematica trascende il corpo e la mente umana, in questa visione che credo di poter definire senza problemi "platonica". In estrema sintesi:
- la matematica è una caratteristica oggettiva e reale dell'universo, le verità matematiche sono universali, assolute e sicure, le verità matematiche sono oggetto di scoperte;
- le credenze degli esseri umani circa la matematica non hanno alcuna influenza sulla matematica stessa, la matematica sarebbe la stessa anche se non esistessero esseri umani, e in altri universi possibilmente diversi da questo;
- i matematici sono gli scienziati di livello più elevato, in una ipotetica gerarchia delle scienze, poiché le verità che scoprono sono valide in qualunque universo possibile e non solo in quello accessibile alla nostra esperienza;
- poiché la logica può essere formalizzata in termini della matematica, la matematica stessa costituisce la vera natura della razionalità, inoltre, poiché la razionalità definisce ciò che è unicamente umano, i matematici sono l'espressione più alta della razionalità;
- la matematica della natura, e in particolare della fisica, risiede nei fenomeni naturali medesimi, come il fatto che i pianeti seguano orbite ellittiche, che i frattali siano annidati nelle forme delle foglie, che i gusci delle chiocciole seguano spirali logaritmiche, il che implica che il libro della Natura è scritto in linguaggio matematico, e che solo chi capisce la matematica possa capire la Natura;
(da G. Lakoff e R. E. Nunez, Where Mathematics Comes FromBasic Books, Perseus, New York, 2000)
Questo è quello che Lakoff e Nunez hanno chiamato "il romanticismo della matematica", che sarebbe più opportuno definire forse "la mitologia della matematica". Come affermano Lakoff e Nunez, due scienziati cognitivi, linguista il primo e psicologo il secondo, nello studio delle scienze cognitive si trova spesso che le evidenze contraddicano le mitologie individuali. Le nostre credenze coscienti su soggetti come tempo, causalità, moralità, politica, sono molto spesso inconsistenti rispetto ai sistemi concettuali inconsci di ciascuno. E non è inusuale per le persone l'adirarsi quando gli viene mostrato come il loro inconscio contraddica le loro credenze più care e radicate, specialmente in aree sensibili come etica, religione, o politica. Qualcosa di analogo si trova anche nella matematica: parlando con dei matematici di professione, è estremamente difficile far passare il concetto di "mitologia della matematica". L'idea diffusa è che di un argomento complesso e specialistico come la matematica possano parlare a ragion veduta solo i professionisti, e che epistemologi, filosofi, psicologi comportamentali, scienziati cognitivi, ma perfino dei quasi-colleghi come i fisici, non possano che avere visioni parziali, schematiche e non professionali. Il "romanticismo della matematica" è parte profonda della loro visione della vita, della loro identità più profonda. E dubito, infatti, che un matematico che leggerà le parole che sto per scrivere, le condividerà.
Infatti, affermo e sostengo (in compagnia di qualcun altro) la radicale estraneità della matematica rispetto alle scienze naturali. La matematica è diversa da tutte le scienze, è totalmente "interna" allo spazio mentale umano, mentre le altre scienze sono "esterne". Le scienze sono costituite dall'analisi di eventi naturali, percepiti dalla mente umana attraverso i sensi di cui dispone, entro gli intervalli di variabilità dei sensori biologici predisposti allo scopo. La matematica è il sistema mentale ("linguaggio") tramite il quale il cervello organizza e analizza le percezioni sensoriali degli eventi naturali. La matematica è il linguaggio più naturale per la formalizzazione del rapporto fra "interno" del corpo ed "esterno" della natura. Per altri rapporti, il cervello preferisce usare altre forme di linguaggio, come quello verbale, musicale, eccetera.
In questo senso, la matematica è un puro prodotto degli esseri umani. Impiega le limitate risorse del cervello umano, e da questi limiti essa è formata, oltre che dai limiti fisici dei nostri corpi. Le parti del sistema cognitivo umano che generano la matematica più avanzata sono le normali capacità adulte, comuni a qualunque essere umano. Come hanno dimostrato da tempo le scienze cognitive, una ristrettissima parte di queste capacità sono innate, hard-wired nel cervello umano, tipicamente la capacità di contare fino a quattro o a cinque. Lo sviluppo ulteriore delle matematiche superiori è costituito grazie ai meccanismi di metafore concettuali e di inferenza logica incorporati nei meccanismi cognitivi del cervello.
A queste idee da (darà?) supporto, a sua totale insaputa e senza alcuna colpa o responsabilità diretta, il fantasma augusto di Aristotele lo Stagirita, con il mio/suo statuto dei confini… spero ☺

1 Comments:
il logos, inteso come verbo-parola-linguaggio, fondamento e condizione di possibilità per riconoscere nella natura - colta come "circostante" l'umano, cioé fatta, finalizzata e disponibile al volere degli umani - una intelligibilità oggettiva è il paradigma classico della conoscenza come adeguatio rei et intellectus. Teologia e scienza si sono molto presto e assai bene accordate sul valore di utilità, cognitivo, etico, morale, politico (soprattutto) di questo paradigma. Che la cosa-oggetto e la persona/creatura poi dal 600 in poi la mente-soggetto si corrispondano è suprema garanzia di certezza tanto dello statuto dell'umano quanto della onnipotenza creatrice di Dio. Tout se tient a quanto pare...
Perciò la teologia non aveva alcun motivo per riallacciarsi al mito, incapace di offrire siffatte garanzie, visto che è proprio del logos (non del mito) quel legare (legein) e ricollegare in unità che garantisce rappresentazioni di mondo e forme di vita conciliate in un senso-ordine unitario, stabile e necessario; insomma, nel logos riposano le pastoie della metafisica, quindi anche (incredibile per alcuni ma vero)del farsi metafisica della scienza e, nel senso indicato nel tuo post, della matematica come metafisica.
Anche mythos fu offerta di unità di senso, mythos e circolo, è collegamento, infinito rinvio ma non è portatore (né sano né malato)di potenziali di conciliazione, offrendo una veduta di insieme cosmologica, dove la natura non è mai il "circostante" l'umano e non è disponibile perciò come oggetto per un soggetto, dove l'umano d'altra parte non è mai il soggetto ma ente di natura nella natura con la natura, dove natura umana e divina si spartiscono l'essere; anche il mythos è totalità, certo, ma parla un linguaggio la cui manifestazione è incerta, provoca stupore e meraviglia, induce a decifrare e a scoprire, convocando una scienza libera di scoprire... potrebbe parlare anche con parole matematiche...anche, forse, potrebbe ...
le pastoie nel fondo del mythos (per alcuni, paradossalmente..) sembrano essere così laiche e antimetafisiche che non avrebbero potuto prestarsi a rispondere alle pretese di dominio sia della telogia sia di certo scientismo ideologico...
(un bel FORSE in calce ce lo metto, sempre....)
fiò :)
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